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Cinema: intervista al giovane regista Diego Marquez Todeschini

Diego Marquez Todeschini è un cineasta nato nel 1995 a Caracas, in Venezuela. La sua inclinazione nei confronti della cinematografia si manifesta fin da subito, tanto che i suoi primi passi in questa dimensione si compiono addirittura all’età di sei anni. Nel 2011 il regista decide di lasciare Caracas, per gli  Stati Uniti, in particolare la città di

New York, Nella città americana, presso la Rabbit Content, ha l’opportunità di completare un percorso di formazione professionale nell’ambito della cinematografia e di laurearsi successivamente in Cinema. Nel 2019 si trasferisce in Italia, precisamente a Verona. Nel 2021 si distingue per la realizzazione del cortometraggio intitolato “Savages!”, il cui protagonista è l’attore dominicano Andres Castillo. Questo lavoro gli permette di raggiungere i primi successi, tra cui l’aggiudicazione di un premio come migliore regista rilasciato dal London International Monthly Film Festival. Nel medesimo anno scrive un testo di approfondimento, in ambito letterario e cinematografico, con cui opera un’analisi accurata della recitazione di Timothy Dalton nella sua interpretazione di James Bond. Nel 2022 diviene autore per la prima volta di un cortometraggio in lingua italiana, intitolato “Lights Off, che vede la partecipazione degli attori Gianmarco Vettori e Klaudia Pepa. Nel 2022 realizza come attore e produttore il cortometraggio “Window”, girato in Germania che vede come protagonista il giovane attore Netflix Thomas Camorani.

Savages! sembra una boccata d’aria fresca. Mescoli vecchie tecniche cinematografiche con una sensibilità molto giovanile ed energica. Cosa ti ha spinto a raccontare questa storia in questo modo particolare?

“Quando si tratta della storia stessa, è un po’ difficile parlarne. A volte un’idea, o un accenno di un’idea, mi si attacca. Poi mi siedo e comincio a scrivere senza fermarmi a pensare e senza curarmi degli errori grammatici o della logica. Una volta che ho messo giù il grosso della storia, comincio a rifinirla, a rifinirla…Alcune cose vengono buttate via, altre vengono inserite. Una volta che ho avuto l’idea di Savages!, ho capito istintivamente che dovevo raccontare la storia in quel modo”.

Quindi fin dall’inizio sarebbe sempre stato un film muto che imitava lo stile di un film d’avventura degli anni ’20? 

“Si, assolutamente”.

Quanto è stato difficile raccontare una storia puramente visiva? 

“A dire il vero, è stata la cosa più semplice di sempre! [Ride] Adoro la narrazione visiva”.

È un’allergia verso la scrittura di dialoghi?

“No, no. Non un’allergia, anzi una sfiducia nel dialogo. Ti apri a così tante trappole narrative. Il cinema è un mezzo visivo, perché non usarlo così? Questo non vuol dire che non uso i dialoghi nei miei film, ma non li uso necessariamente per scaricare le spiegazioni della storia sul pubblico”.

Ho notato che hai un forte legame con l’espressionismo tedesco degli anni ’20. Vedo un po’ di Fritz Lang e F.W. Murnau in Savages! È stata un’influenza cosciente?

“Sì, moltissimo. Amo l’espressionismo tedesco. È all’incrocio delle mie tre cose preferite nell’arte: cinema, surrealismo e assurdismo”.

Eppure gli dai un tocco molto moderno e fresco. Anche questa è stata una decisione consapevole?

“Non credo. Il problema dell’adozione di uno stile, o dell’essere influenzati da uno stile specifico, è che dovresti stare attento a non renderlo il centro del film. Dovrebbe farne parte, ovviamente, ma non dovrebbe essere la ragione per cui esiste il film. È troppo rischioso. Se lo fai, nel migliore dei casi ottieni pasticche. Nel peggiore dei casi, ottieni un film derivato che non porta la tua voce come artista. Ho usato lo stile dell’espressionismo tedesco come cornice. Poi ho fatto le mie cose all’interno di quei confini”.

Hai lasciato il Venezuela per gli Stati Uniti molto giovane. Pensi che questa preoccupazione per il linguaggio e la comunicazione informi il tuo amore per la narrazione visiva?

“Non ci ho mai pensato in quel modo [Ride]. Immagino che in un certo senso sia corretto”.

Dopo tutto, il cinema è un linguaggio universale. 

“Se è usato bene, allora sì. Diventa la cosa più bella del mondo. Sfortunatamente, credo che non molte persone stiano usando quel potenziale oggi”.

 

A proposito delle tua ultima produzione, “Window”, cosa puoi dirci?

“Sì, “Window” è il mio ultimo cortometraggio. Abbiamo concluso la produzione lo scorso febbraio. Il film descrive un giovane che tenta il suicidio

gettandosi dalla finestra della sua camera da letto, ma il tentativo non funziona come previsto. Il film è interpretato da Thomas Camorani, un fantastico attore italiano con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Sono molto eccitato per questo. Mi sono reso conto che il film sta suscitando parecchio clamore e aspettative sia negli Stati Uniti che in Europa. Spero di poterne fare una grande prima mondiale entro la fine dell’anno in un importante festival cinematografico”.

Sei appena tornata dall’America. Sei stato fuori per lavoro o vacanza?

“Sono stato invitato alla III Edizione della Venezuela Art Fair dall’8 all’11 giugno. Una vera e propria Fiera di arte contemporanea per giovani emergenti che si svolge a New York. È dedicata in particolare alla creatività degli artisti e la proiezione di cortometraggi venezuelani. L’evento riunisce fotografia, musica, scultura, pittura, cinema, teatro e molto altro in un unico spazio. Alexandra Álvarez è la direttrice del Venezuela Art Fair e Yuri Uzcátegui, co-produttore. È stata per me una vera emozione partecipare con il cortometraggio Savages, insieme a tanti altri giovani artisti. Mi sono sentito a casa”.

 

1 Maggio 2024

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